Testimonianza di Tamara

Il 21 febbraio 2003 ho avuto un incidente, fortunatamente non ricordo com’è successo, così posso uscire di casa senza angoscia; sono rimasta in coma dieci giorni. Quando mi sono svegliata mi sono accorta di essere in ospedale, ma non capivo il perché. Ero in grado di riconoscere quelli che avevo intorno, ma non riuscivo a parlare, volevo fare un sacco di doman­de, però le parole rimanevano imprigionate nella mia testa, non uscivano. La sera del giorno in cui mi sono svegliata sono venuti a trovarmi i miei due più cari amici, quando li ho visti arrivare ero contentissima. Mi sono sempre stati vicini, quindi a vederli lì ho pensato che parlando con loro potevo avere tutti i chiarimenti. Purtroppo le uniche parole che mi uscivano erano: SI e NO. In questo modo potevo rispondere alle loro domande, ma non riuscivo fare le mie; mi sono rassegnata visto che la cosa più importante era che fossero lì.

Il giorno dopo ero convinta che sarei tornata a casa, invece mi hanno spostata in un altro reparto. E’ uscita un’altra parola: VIA; tutti pensavano che volevo mandarli via, invece volevo andarmene io e tornare a Udine visto che mi ero stranamente convinta di essere nell’ospedale di S. Daniele. Una sera è venuta a trovarmi una mia amica, parlando con i miei genitori ha detto che era venuta a piedi visto che abita lì di fronte, tra me e me ho pensato: “ma perché non mi ha mai detto di avere una casa anche a S. Daniele?”.

Gli zii di Siena sono venuti immediatamente a trovarmi, io non pensavo assolutamente che fossero lì per me, pensavo ad una coincidenza, che fos­sero venuti a Udine mentre io ero in ospedale a fare delle visite; quindi i miei genitori li avevano portati da me per farmeli salutare.

L’unico ricordo che ho adesso è di quello che provavo e non di quello che succedeva realmente. Potevo parlare solo con me stessa, credevo a quello che pensavo, avevo duemila dubbi e li risolvevo da sola. Probabil­mente nella mia testa mi inventavo anche i discorsi con gli altri. Per un sacco di tempo sono stata convinta di fare domande chiare e gli altri o non rispondevano o lo facevano in modo inadeguato. Ero convinta di espri­mermi correttamente, invece da me uscivano parole a caso, incongruenti. Non capivo perché le persone a me care non mi aiutavano a risolvere i miei dubbi, però erano sempre presenti, non ero mai sola e riempivano i miei vuoti. Pensavo che potevo rivolgermi ai medici, ma loro non mi hanno aiu­tata e sentivo che non ci provavano neanche. Speravo che uno di loro si avvicinasse a me a spiegarmi cosa mi stava succedendo, ma non è acca­duto.

Da un giorno all’altro mi sono trovata in ospedale, rasata, l’incapacità di parlare, legata o in carrozzella o nel letto. Di tutto questo la cosa più trau­matica era non sapere il perché.

Il problema carrozzella si è risolto in pochi giorni; ogni mattina mi porta­vano nella palestra del mio reparto dove ero seguita da fisioterapisti. Mi sono subito rimessa in piedi. Rimaneva il problema di non riuscire a comu­nicare. Iniziavo a rendermi conto della difficoltà e degli errori che facevo parlando. Quando ho ripreso a camminare ha iniziato a seguirmi una ragazza che studia fisioterapia. All’inizio mi faceva parlare, poi ha iniziato a farmi scrivere e fare le operazioni, non è affatto bello ritrovarsi dopo tanti anni di studio a non riuscire a fare le cose più elementari, fortunatamente lei era molto gentile e tranquilla, mi faceva sentire a mio agio.

Dopo un mese di ospedale è venuta una logopedista a farmi dei test. Quando è arrivata mi ha fatto delle domande convenzionali, per cono­scermi a cui non riuscivo sempre a rispondere; ad esempio non sapevo dire il nome della facoltà universitaria che frequento. Abbiamo iniziato con i test, vedevo che si appuntava quello che dicevo o non dicevo. Mi dava molto fastidio non capire dove volesse arrivare, mi stava interrogando? Voleva darmi un voto? Avrei desiderato capire l’utilità di quei test per risolvere le mie difficoltà.

Qualche giorno dopo mi hanno rilasciata dall’ospedale; so benissimo che il termine giusto sarebbe dimessa, ma per me era come uscire dal carcere. E’ stato bellissimo tornare a casa e dormire nel mio letto.

Ogni giorno continuavo ad andare in ospedale per visite di controllo e a frequentare la logopedia. Non sono andata dalla stessa logopedista che mi ha fatto i test, inizialmente ci sono rimasta male, pensavo che ogni gior­no mi capitasse quella che era libera, già mi vergognavo dei miei problemi li dovevo fare sapere a tutti? Fortunatamente non è andata così: sono sem­pre stata seguita e lo sta facendo ancora Elena.

Il primo giorno con lei è stato fantastico, senza che facessi domande mi ha subito spiegato qual era la situazione, come e cosa potevo risolvere. Mi ha tolto un magone di 50 chili: non ero diventata stupida, non avevo perso la memoria, ma con la botta si erano scombinati i meccanismi del mio com­puter, la questione era questione di mettere ordine. Dopo tanti giorni mi era ritornato il sorriso.

La capacità di scrivere è tornata quasi subito, restava il problema che non mi venivano le parole. Ora posso dire di aver voltato pagina, anche se non c’è ancora scritto “fine dei problemi”. Ho ripreso a leggere, a scrivere e a parlare, ma sono molto più lenta di come ero prima dell’incidente. Per fare qualsiasi cosa devo mettermi con calma, senza fretta e in tranquillità.

Molte volte mi stupisco di quanto sono più lenta e poco agile mental­mente rispetto a com’ero. Quando mi fanno domande che non mi aspetto ad esempio indicazioni stradali, me le faccio sempre ripetere. Non rispondo alle battute velocemente, di questo i miei amici sono contenti, a me invece sembra che da un giorno all’altro sono invecchiata di cinquanta anni.

Ricominciare a studiare è faticosissimo, quasi avessi lasciato gli studi da più di dieci anni. Ho molta difficoltà a concentrarmi e non mi ritrovo nelle cose di cui mi sono occupata per tanti anni, sono argomenti conosciuti, ma non so in che posto metterli.

Ora ritengo importanti cose di cui non mi sono mai preoccupata, men­tre cose che erano al primo posto sono scese in classifica. Mi piace cono­scere persone nuove, così non fanno paragone a com’ero poco tempo fa, non cercano di psicanalizzarmi per tutto quello che dico e faccio.

I miei progetti sono rinviati, a ottobre avrei dovuto iniziare la tesi. Spero di riuscire a finire gli esami, di rinviare la laurea e non di rinunciarvi.

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