Testimonianza di Lucio

Da ragazzino, durante le vacanze scolastiche, andavo ad imparare il mestiere d’elettricista; era la mia passione. E’ così che ho iniziato a lavorare; a sedici anni mi hanno poi assunto in una ditta di manutenzione e mon­taggio d’ascensori per otto anni. Oltre a questo lavoro andavo ogni gior­no, per tre anni consecutivi, a ritirare i giornali al Messaggero Veneto per poi distribuirli nella Bassa Friulana. Quante mattinate di nebbia che si taglia­vano col coltello ho dovuto affrontare! Alle sei in punto dovevo trovarmi alla stazione di San Giorgio di Nogaro per caricare sul treno i giornali, se ritar­davo dovevo arrivare in auto fino a Mestre.

Ricordo con affetto la mamma che mi preparava il caffè ogni mattina verso le ore due e mezza, io partivo alle tre.. .Era proprio una consolazione, il caffè. A quel tempo in tutto l’anno c’era un solo giorno di festa, il 2 mag­gio, in cui si sospendeva la distribuzione dei giornali.

Ricordo che l’adora Presidente della Repubblica, Saragat, era venuto in visita in Friuli, e il direttore del Messaggero mi aveva incaricato di fargli da autista particolare. Ho dovuto acquistare da “Zagolin”, noto negozio di cappelli di Udine, un berretto d’autista che però non ho indossato neanche per un minuto. L’ho lasciato in bella vista sul sedile accanto!

Mio padre ha sempre lavorato come autista.

Nel 1968 abbiamo deciso di comperare un camion e quindi di lavorare in proprio, così ho iniziato a fare il trasportatore. La passione per la guida l’ho sempre avuta, ho iniziato a conoscere tutta l’Italia, in particolare il Nord Italia.

Quest’anno ho festeggiato trent’anni di matrimonio. Laura l’ho conosciu­ta da ragazzo, avevo diciotto anni, lei un anno più giovane di me. Siamo sempre stati insieme, abbiamo condiviso ogni decisione. Fabio, Alberto e Martino sono i nostri figli. Devo dire che la mia è una bella famiglia!

Mia mamma ha vissuto sempre con noi perché mio padre è morto prima che io mi sposassi. I miei figli hanno voluto assistere la nonna quando si è ammalata finché ci ha lasciati.

Nel 1978 ho cambiato lavoro, mi hanno chiesto di organizzare la rimo­zione di scorie e di dirigere i lavori di gru e pale meccaniche presso le fer­riere. Questo è stato il mio lavoro fino a quattro anni fa quando improvvi­samente, la mattina del 26 ottobre 1998, appena alzato, sedendomi sulla sponda del letto, ho sentito dentro la mia testa dalla parte destra una sen­sazione strana che mi ha allarmato; subito ho detto a Laura di andare in Pronto Soccorso. Lei non capiva perché volessi andare, mi vedeva “norma­le” ma io ho insistito perché mi rendevo conto che mi stava accadendo qualcosa di strano.

Arrivato al Pronto Soccorso con Laura e mio figlio, ricordo di essermi steso sul lettino, vedevo intorno a me tutto un darsi da fare, ma incomin­ciavo a perdere coscienza. Nel pomeriggio, verso le quattordici, mi sono risvegliato, ho capito che mi trovavo ricoverato in un reparto. Ho visto Laura vicino a me, ero sempre confuso, quasi in dormiveglia.

Sono rimasto così per altri 3-4 giorni nell’ attesa di essere operato di aneurisma cerebrale; ma nei giorni seguenti la mia situazione è peggiorata tanto che io non ricordo quasi niente.

Un infermiere mi ha rapato a zero, era molto gentile, mi spiegava tutto. Ho avuto un colloquio con l’anestesista, una dottoressa, so di avere firma­to il consenso all’operazione. Di notte c’era sempre qualcuno con me, la moglie, i figli, i nipoti.

Dopo l’operazione per quindici giorni sono rimasto in balia degli altri che mi accudivano. Ritornato a casa, ho incominciato pian piano a rendermi conto delle mie difficoltà. Mentre mangiavo non sentivo più i sapori: una brutta sensazione che perdura tuttora…

Le parole che mi uscivano dalla bocca erano solamente “vecchio” e “frut” (espressione dialettale che indica bambino), che servivano per dire tutto quello che pensavo. Le persone che venivano a trovarmi rimanevano un po’ perplesse ma io andavo a ruota libera.

Dopo un mese sono andato da un neurologo per vedere se potevo ini­ziare la rieducazione del linguaggio. Questi mi ha consigliato ancora ripo­so e tranquillità…

Sono rimasto a casa fino alla primavera. In questo periodo ricordo con piacere quanti amici siano venuti a trovarmi, non mi sono sentito mai solo! Il tempo per me non aveva molto senso, stavo lì, guardavo la televisione, quando era ora di dormire finivo la giornata vissuta in casa senza rendermi conto di tutto ciò che mi mancava, ero senza interessi, del lavoro non avevo ricordo.

Erano passati circa sei mesi dall’operazione ed era giunto il momento di essere aiutato per poter parlare di nuovo, per farmi capire e poter capire quello che mi veniva detto. Così sono stato ricoverato per cinque giorni all’ospedale addetto alla riabilitazione, per essere sottoposto a vari esami, soprattutto quelli per il linguaggio.

Al primo impatto i tecnici si sono mostrati preoccupati per le mie difficol­tà di comunicazione e si sono detti: “sarà molto difficile ottenere qualcosa da questa persona, tentiamo comunque!”. A queste parole mi sono sentito andare sotto terra. Ero in grado di capire quello che dicevano di me, mi sforzavo al massimo per conoscere cosa mi prospettassero per il mio futuro.

Ho iniziato la terapia del linguaggio e il mio caro amico Giuliano è diven­tato momentaneamente il mio fidato autista; mi accompagnava tre volte alla settimana a fare logopedia, pazientemente mi attendeva fuori. Tre mesi dopo mi sono arrangiato da solo, il mio mezzo di trasporto è stato la bici­cletta. Ricordo che il materiale che usavano per aiutarmi a parlare era molto semplice. Ho pensato, appena me l’hanno proposto, di trovarmi di nuovo a scuola! Tanto che insieme a mia moglie andavamo nelle librerie a cercare libri ben illustrati, semplici, che ritenevano potessero aiutarmi!

Ero uno scolaro diligente, facevo i compiti a casa con l’aiuto di Laura, lo eseguivo sempre tutto ma non riuscivo a capire perché dovevo fare quelle cose.

Alla fine dell’estate, mi è venuto il desiderio di guidare l’auto, sono sali­to, ho messo in moto, ho innestato la marcia e mi sono trovato sul muret­to di cinta perché la marcia non era quella giusta. Invece della retromarcia avevo innestato la prima! Nessun danno, ma sono rimasto male perché mi sono reso conto che l’automatismo di andare in macchina l’avevo perso. Già avevo provato tempo prima a salire in auto con mio figlio ma avevo subito rinunciato. Ora invece mi sembrava di essere più sicuro e così ho affrontato la prova da solo. Doveva passare ancora un po’ di tempo perché io potessi riprendere a guidare ed essere finalmente autonomo.

Il desiderio di ritornare al lavoro l’ho sentito all’inizio dell’estate e Laura e i miei figli hanno capito quanto avesse potuto farmi piacere andare sul luogo de! mio lavoro. Così mi accompagnavano e mi aspettavano mentre io facevo un giro nel mio mondo e potevo salutare i miei compagni. Le prime volte per me è stato un piacere, ma con l’andare del tempo mi sono reso conto che ero spettatore, non più protagonista e ciò mi faceva stare male. È un vero dramma accorgersi di essere messi da parte perché non si è più utili. Ci si rende conto che la maggior parte delle persone pensa a se stessa e non dedica tempo a cercare l’amicizia, l’affetto, a dare un aiuto a chi ne ha bisogno.

Ero abituato a lavorare in un certo modo. Affrontavo le situazioni che mi si presentavano sempre con entusiasmo, con voglia di fare, di capire per­ché si fa una cosa piuttosto che un’altra e coinvolgevo chi mi stava appres­so a lavorare con intelligenza.
Non sempre riuscivo a lavorare con persone disponibili e interessate al loro lavoro; ricordo con piacere alcuni compagni veramente seri, che mi davano soddisfazione.

Purtroppo ci sono state anche situazioni difficili, incresciose, perché ho dovuto affrontare persone che approfittavano della mia assenza per fare i loro comodi. Ora, quando vado a trovarli sul lavoro, mi rendo conto che sono cambiate molte cose. Non c’è più amicizia tra loro a causa di interventi supe­riori che, invece di fare in modo di responsabilizzarli, gli tolgono l’interesse a capire ciò che stanno facendo, non discutono più le scelte, fanno le ore di lavoro che vengono richieste pensando solo all’immediato guadagno.

Ricordo la festa per gli auguri di Natale in cui ci trovavamo tutti insieme con le nostre famiglie, era un modo per conoscerci tutti, passavamo insie­me una bella serata. Ora nessuno si prende la briga di organizzare la festa in modo che vi possano partecipare tutti, dandosi anche i turni. Così alla fine si ritrovano “quattro gatti” e la festa non ha più senso.

Era passato già un anno dall’intervento e ormai mi recavo all’ospedale, per il linguaggio, da solo, con la mia auto.

Avevo ripreso a frequentare il posto di lavoro. Andavo a pranzo al solito bar pizzeria vicino al cantiere. Dovevo concludere il mio periodo lavorativo per poter andare in pensione con quarantanni di servizio. Mio figlio Fabio lavora nella stessa acciaieria dove ho lavorato io. A lui posso suggerire con­sigli e passare la mia esperienza.

In autunno del 2001 ho concluso la riabilitazione del linguaggio. Sono passati tre anni dal momento in cui ho subito l’operazione. Non sono stato seguito continuativamente nel tempo. Spesso sospendevo la riabilitazione anche per tre mesi di seguito. Questi vuoti mi facevano stare male, mi sem­brava di essere abbandonato, avrei voluto lavorare di più. Pensavo che più facevo e più sarei potuto guarire, avrei potuto ritornare come prima, non avere più nessuna difficoltà. Continuavo a voler fare riabilitazione perché non mi sentivo guarito. I tempi di attesa però erano molto lunghi, così mi è stato suggerito di farmi seguire privatamente a casa mia per due mesi, due ore alla settimana. A febbraio 2002 vengo a conoscenza da amici di un altro servizio di logopedia. Con mia moglie mi presento all’appuntamento. Rac­conto il mio problema: non so perché non sono come prima. Perché sba­glio spesso quello che mi propongo di dire? Perché non mi ricordo niente o quasi? Mi hanno operato in testa, hanno tolto qualcosa, desidererei che mi rimettessero dentro quello che mi è stato tolto, come le macchine!

La logopedista mi avverte subito che io sono una macchina molto com­plicata, fatta di emozioni, desideri, di tantissimi meccanismi che servono a regolare il “tutto”. Bisogna darsi una ragione di ciò che ci è capitato, capi­re che il fine non è ritornare “come prima” è andare avanti apprezzando tutti i miglioramenti che si ottengono, volendo bene a se stessi, perché ne vale sicuramente la pena.

Così ho iniziato a lavorare su me stesso con l’aiuto della logopedista che mi fa analizzare ciò che succede dentro di me, mi spiega gli errori che  fac­cio, cercando di trovare il modo di evitarli.

Ora capisco che il mio modo di affrontare le situazioni non è per niente cambiato, mi sforzo sempre di dare il massimo di me, non mi tiro indietro, non voglio cedere, devo lottare con tutte le mie forze per raggiungere lo scopo prefissato. Sono diventato più lento nelle mie attività, il mio pensiero vola come prima, ma per tradurlo in parole, faccio molta fatica e l’espri­mermi con chiarezza è un’impresa che mi impegna molto. Durante la mia malattia non sono riuscito a registrare bene, nella mia mente, quello che vivevo e così, quando cerco di ricordare non trovo quello che voglio, non so come organizzarmi nella ricerca e alla fine penso di aver dimenticato molto. Ma, giorno per giorno, mi accorgo di ricordare bene il mio passato; nella mia mente riaffiora il mio vissuto. Sono consapevole delle mie difficol­tà e cerco di arrabbiarmi meno su me stesso voglio apprezzare ogni mio piccolo miglioramento.

La soddisfazione più grande è di vedere che mia moglie e i miei figli dimostrano di stare bene con me anche se io sono meno efficiente. In fondo adesso, che sono pensionato “forzato”, posso stare sicuramente di più con loro, e ciò mi fa tanto piacere perché alla mia famiglia ho sempre voluto un grandissimo bene e sento di essere ricambiato allo stesso modo.

Mi riprometto di stare un po’ più tranquillo, sempre con il mio carattere combattivo, ma più “filosofo”. La vita è bella!!!

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