“Ha-ha” di Dave King – Fazi Editore, Roma 2007

Da lontano, non vedresti niente di complesso o di innaturale; c’è un adulto che sta badando a un bambino: magari, a poca distanza, c’è la sua compagna che sorride, e osserva la scena. Avvicinandoti, apprezzeresti qualcosa di radicalmente diverso. Quell’adulto ha una ferita antica sul cranio, e non parla: non scrive, non legge, non conosce il linguaggio dei segni. Mugugna, mima.

Quel bambino non è suo figlio, è il figlio d’una sua ex, del suo unico grande amore: gliel’ha affidato, ché si trova in clinica per disintossicarsi dalla cocaina. Quella donna che li osserva, invece, è l’affittuaria dell’uomo ferito; è sua amica, adesso, lo aiuta nell’amministrazione e nella quotidianità, come può.

Da lontano avresti pensato fosse una famiglia. Sembrava tutto così bello, e così naturale. Già. In termini botanici, questa stupenda illusione si chiama ha-ha. L’ha-ha è, tecnicamente, un muro nascosto da un fossato ricoperto d’erba. È un’illusione ottica: serve a offrire una vista idilliaca del panorama che circonda un giardino, dai prati e dai dintorni nobili d’una casa. L’etimo è curioso: spiega Thomas Everett, nella The New York Botanical Garden Illustrated Encyclopedia of Horticulture: “Il termine ha-ha deriva dall’esclamazione che un estraneo potrebbe lasciarsi scappare nel ritrovarsi improvvisamente sull’orlo del fossato dalla cima del muro. Un’esperienza di questo tipo, ovviamente, si rivelerebbe estremamente pericolosa per gli sprovveduti” (p. 11). Il lettore è avvisato.

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“L’anima prigioniera. Memorie di un’afasica” di Olimpia Casarino – MJM Editore

Biografia prevalentemente interiore (ma non solo) di una donna colpita ancor giovane da un ictus che la rende temporaneamente afasica e la debilita in modo permanente nel fisico. Evocando il suo vissuto personale e familiare, la donna cerca di risalire alle origini del proprio disagio e della stessa malattia che l’ha colpita. A partire dalla riappropriazione del corpo, mediante la partecipazione al lavoro di gruppo e un impegnativo percorso di autoguarigione, la protagonista intravede l’uscita dal dolore attraverso il recupero di una dimensione di intensa spiritualità. Nella filigrana del racconto si coglie la rappresentazione di interni piccolo-borghesi della Napoli degli anni ’50 e ’60, intrisi di pregiudizio e di paura. Per altro verso, a partire dall’evento invalidante che colpisce la protagonista alla fine degli anni ’70, affiora, attraverso una serie di flash narrativi, la drammaticità dell’impatto con una realtà socio-sanitaria non solo arretrata, ma strutturalmente incapace di dare una risposta ai problemi della disabilità.

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“Le parole dimenticate” di Ruiyan Xu – Ed. Piemme, 2012

Un attimo prima Li Jing, giovane uomo d’affari, sta pranzando con suo padre in un lussuoso hotel di Shanghai. Un attimo dopo il cemento si frantuma, la polvere soffoca l’aria e li giace privo di sensi sotto un cumulo di macerie. Quando si risveglia in un letto d’ospedale, il dolore delle ferite gli ricorda che è ancora vivo. Meiling, sua moglie, gli è accanto, in attesa di udire parole che la rassicurino. Ma quando queste escono dalla bocca del marito, sono per lei incomprensibili. Il trauma ha cancellato dalla mente di Li Jing il cinese e le uniche frasi che riesce a pronunciare sono in inglese. Afasia di Broca è la diagnosi dei medici. La speranza di recuperare il linguaggio perduto è affidata a Rosalyn Neal, una giovane neurologa americana specializzata in casi del genere. Partita dall’Oklahoma, dove ha lasciato una casa dolorosamente vuota e tante speranze disattese, è arrivata a Shanghai senza conoscere una parola di cinese. Pur sedotta dal fascino della città, vive lei stessa il senso di solitudine ed estraneità di chi è impossibilitato a comunicare, e solo nel lavoro trova un appiglio sicuro. Ma mentre Meiling cerca con tutte le forze di tenere insieme la sua famiglie la lunga terapia creerà tra Rosalyn e il paziente un legame sempre più forte ed esclusivo. Fino al giorno in cui Li Jing sarà costretto a fare una dolorosa scelta.

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“La voglia di raccontare” di Carlo D’Andrea – Byblos Edizioni, 2012

Chi segue questa rubrica già da tempo conosce Carlo D’Andrea, laurea in pedagogia, direttore didattico e giornalista, divenuto afasico nel 1981 in seguito a rottura di aneurisma. L’abbiamo conosciuto attraverso i suoi scritti “La voglia di parlare ” (1992) e “La voglia di vivere” (1998).
“La voglia di raccontare” è la sua ultima opera letteraria. Sono squarci di memoria su luoghi e persone del suo amato paese, Piedimonte Matese. Racconta di vico Stretto, descrive le case una a una, le persone che le hanno abitate prima e durante la sua infanzia, rievoca aneddoti lontani nel tempo ma da lui mai dimenticati.
Come scrive il figlio Gianfrancesco nell’introduzione, il libro “lo ha scritto per le persone di questa Città. Dalla prima all’ultima. Le ha amate, le ama, indistintamente, senza riserve”.

 

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“Un posto chiamato afasia: oltre la frontiera di Stroke” di Massimo da Gragnano – Edizioni Simple, 2014

E’ la storia di Ascanio che un giorno, improvvisamente, in seguito ad un ictus diventa afasico. Il libro s’ispira liberamente ad una storia vera anche se situazioni, caratteri, luoghi e la stessa personalità di Ascanio sono in gran parte inventati. Obiettivo di Massimo da Gragnano è quello di far vivere, a chi legge il libro, il significato profondo della condizione di una persona afasica e di tutti coloro che lo circondano. Ascanio è un uomo di successo attorniato da una moglie innamorata e da una numerosa e affettuosa famiglia. Poi il disastro: la grave afasia, l’emiplegia e lentamente gli amici, i parenti si allontanano fino a che il cognato Asmodeo gli fa terra bruciata intorno e s’impadronisce di tutti i suoi averi. L’amata moglie Frida e lo stesso Ascanio moriranno, in povertà, separati.
La visione dell’afasia dell’autore è molto cupa. I medici e il personale paramedico che nel tempo si occupano di Ascanio sono poco “informativi”; la moglie non comprende cosa sia l’afasia e nessuno l’aiuta, gli amici e i familiari si sentono “imbarazzati” in presenza di Ascanio che presenta una forma molto grave di disturbo afasico.
Situazioni di questo genere si presentano ancora ma sempre meno frequentemente. La conoscenza del problema “afasia” si sta diffondendo e le persone afasiche sono sempre più pronte ad uscire nel mondo e a rivendicare il loro diritto di esistere.

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